lunedì 22 agosto 2011

Recensioni private 3. Choukhadarian


La gallina non incontra fortuna particolare, nella letteratura italiana. Si trova certo una famosa novella di Boccaccio, la ricorda Italo Calvino in un racconto non dei più conosciuti (La gallina di reparto, del 1958: e varrà la pena rileggerlo), in Eros e Priapo Carlo Emilio Gadda chiama galline le donne che non sono vacche o troie. Qualche appassionato ricorderà infine le Galline pensierose di Luigi Malerba: ma sono pochi, e non usano strepitare (come galline, appunto). Ci voleva La Gallina, primo romanzo di Fabrizio Ottaviani, 41 anni, critico militante per il Giornale e ricercatore in filosofia del linguaggio perché l'incolpevole bestiola ottenesse il riconoscimento meritato. Le 237 pagine del romanzo si aprono, infatti, con la consegna di una galllina al maggiordomo di una coppia alto borghese, Elena e Massimiliano. Adelmo, che riceve la sorpresa da una vecchia molto male in arnese, non sa bene che farne; e comincia a fare pasticci, rivelando da subito una totale incompatibilità di carattere con Irene, la cuoca. Se prima bisogna nascondere la gallina, poi rimediare ai danni che, inevitabilmente, fa in casa, c'è poi da raccontare ai padroni di casa come ha fatto a entrare in casa e che cosa ci fa. Il romanzo racconta dunque una vicenda tutta giocata su registri tra iperbolico e grottesco, in una modalità piuttosto lontane dalla tradizione narrativa italiana. Ottaviani deve conoscere bene Jonathan Swift, ma anche certo romanzo russo dell'Ottocento e, perché no, i narratori libertini francesi del secondo Seicento. Nel suo racconto c'è infatti l'irriverenza, il gusto per la battuta e una specie di sarcasmo tragico sul mondo e le cose. L'umorismo di Fabrizio Ottaviani è certo di fatti, ma anche di parole e di stile (l'uso disinvolto del punto e virgola!); non che, bene inteso, nell'indagine sui personaggi in iscena. Se questa storia di una gallina e molti uomini ha anche un risvolto morale, lo decida il lettore. Qui se ne suggerisce la lettura, accompagnata magari dal confronto con certe pagine ancora illuminanti dell'Estetica dell'osceno di Guido Almansi

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