domenica 30 dicembre 2012

Il giorno di Natale

Il giorno di Natale Claudio Morandini ha pubblicato sul suo blog Iperboli, ellissi un'acuta recensione della Gallina. Di Morandini, dopo essermi occupato sul Giornale dello straordinario A Gran giornate (La linea, 2012), sto leggendo ora l'altrettanto notevole Rapsodia su un solo tema (Manni, 2010). Si tratta, semplicemente, di grandi romanzi, che solo il filisteismo e la diffusa pochezza culturale patri destinano ad un pubblico di happy few.
Copio qui il testo della recensione, ma tutti sono invitati a visitare il sito originale, che contiene altre pagine critiche di (e su) Morandini:

http://ombrelarve.blogspot.it/


martedì 25 dicembre 2012

Letture: Fabrizio Ottaviani, "La gallina"

Di Claudio Morandini 
Come in un film di Buñuel, o in una pièce di Ionesco, i quattro protagonisti de “La gallina”, il vivace e originale romanzo di Fabrizio Ottaviani pubblicato da Marsilio nel 2011, restano prigionieri di una situazione paradossale e vischiosa, nell’appartamento di lusso al settimo piano in cui si svolgono quasi tutte le scene.
Un giorno una vecchia misteriosa consegna una gallina (una strana gallina, dalle lunghe e robuste zampe da rapace, dall’intestino indomabile, dal puzzo intrattabile). Il maggiordomo crede che sia un’eccentricità della padrona di casa, Elena De Giorgi, o del marito, Massimiliano, non rifiuta la gallina, aspetta ordini. Da quel momento la bestia si aggirerà per le sale dell’appartamento come un ingombrante, corporalissimo spettro, anche spaventoso quando agita le ali e tenta brevi voli, e condizionerà le vite dei protagonisti, portando in superficie conflitti latenti, agendo insomma come elemento scatenante. Cercheranno di sbarazzarsene, invano. Cuoca (Irene) e maggiordomo (Adelmo) ricorreranno ai più vari espedienti, fallendo sempre, mentre la loro rivalità si accentua, e il fallimento dell’uno diventa occasione di rivalsa per l’altro. Dubbi, debolezze, ripicche e incomprensioni condiscono anche la relazione tra i due padroni di casa. In mezzo a tutto questo, si manifesta la gallina, ostinata, incomprensibile come la proibizione a uscire dalla stanza dell’”Angelo sterminatore” di Buñuel, o il moltiplicarsi di sedie o l’ingigantirsi di un cadavere ne “Le sedie” e “Amedeo o come sbarazzarsene” di Ionesco (ma mi è venuta in mente anche la “scimia” de “Le due zittelle” landolfiane).
Nella seconda parte del romanzo la presenza della gallina avrà conseguenze nefaste, tragiche, secondo un ben orchestrato crescendo, quando diventerà oggetto di trame da parte di finti amici e veri rivali dei coniugi De Giorgi, pronti a sfruttare l’ospite sgradito e le rivalità dei due domestici per sbalzare Massimiliano e Elena dai loro posti di potere. Qui gli spazi si ampliano, arrivano a cogliere grattacieli dall’architettura imponente ma traballante, strade trafficate, tribunali ospitati in edifici incongrui, il tutto in un’atmosfera di caos imminente, di prossimo tracollo. Intanto però qualcosa continua a ricordarci che lassù, nell’elegante appartamento anche un po’ kitsch al settimo piano, continua a razzolare la gallina da cui tutto è partito.
Ne “La gallina”, la comicità di molte situazioni nasce dall’incongruo di una bestia produttrice indefessa di escrementi e piume e puzza in un contesto di almeno apparente impeccabilità; dall’inadeguatezza dei sistemi nell’affrontare il problema; dalla compostezza recitata anche nei momenti più agitati dai ben educati personaggi; dalla decelerazione delle reazioni mentali, dal ragionare ossessivo, dalla vivacità al rallentatore delle scene, rese quasi oniriche da uno stile narrativo fuori dal tempo, attento ai minimi dettagli, amante delle ricercatezze, con effetto talvolta raggelante; dal grottesco di carattere teatrale di certi momenti (l’arrivo delle amiche della signora, la lunga, stralunata scena con la guardia medica, la scena degradante in tribunale, il consiglio di amministrazione all’ultimo piano di un grattacielo pericolosamente oscillante al vento, la veglia funebre colta attraverso gli occhi e le orecchie della gallina accovacciata nella bara); dallo smascheramento e capovolgimento delle più rassicuranti convenzioni sociali e familiari. Tutto questo, oltre che comico, suona anche francamente angoscioso, certo.
Chi è la vecchia che ha consegnato la gallina, e a quale scopo? Questa domanda, che attraversa ancora i primi capitoli, verrà quasi dimenticata, per effetto dell’emergenza data dalla presenza della gallina. Tornerà verso la fine, senza trovare risposta, o meglio trovandone parecchie, tutte possibili ma insoddisfacenti. Il mistero, per fortuna, rimane, infilato in un finale parzialmente lieto, sorprendente ma del tutto coerente.



venerdì 28 dicembre 2012

La forma del fuoco


"E feci quello che ho sempre fatto in questi casi: me ne andai di testa..." Ultimo rampollo di una dinastia nata con il Tristram Shandy di Sterne, anche Giuseppe, il protagonista del romanzo d'esordio di Christian Raimo Il peso della grazia (Einaudi, 455 pagg., 21 euro) è incapace di concentrarsi per più di pochi istanti su una singola cosa. Non sa chiudere un discorso, liberarsi di uno scocciatore, mettere il punto a un capitolo della sua esistenza. Persino quando osserva gli oggetti più banali tende a “sfondarli”, a tuffarsi nella loro essenza fatta di elettroni e di forze elementari, e questo non solo per deformazione professionale (ha ricevuto un finanziamento dall’università per una ricerca che ha lo scopo di stabilire, più o meno, quale sia la forma del fuoco). Il problema è che il lavoro che svolge in laboratorio è lo stesso che lo strema nella vita quotidiana: trovare un sistema per domare la sfiancante complessità del mondo.
Provate anche voi a mettere d’accordo un amico polacco con la tendenza all'autolesionismo; un padre che vive in una masseria, in Puglia; una fidanzata oculista conosciuta al pronto soccorso e abbastanza colta da stenderlo con la lista completa dei ciechi famosi (Omero, Milton, Borges...), prima di accettare una corte talmente svagata da funzionare alla perfezione. E poi, sullo sfondo, una fede frutto di letture non esattamente parrocchiali (Karl Rahner, Pierre Duhem, Jean-Luc Marion) cresciuta sotto un cielo romano di precariato che però miracolosamente non impedisce lo sviluppo di una bella storia d’amore, con tanto di misteriosa “sparizione” e un happy ending che ammicca alla commedia americana...
La vita a n-dimensioni di Giuseppe è una sorta di Vita agra 2.0: mille piani esistenziali che interferiscono, producono smottamenti e piccoli terremoti, si negano l’un l’altro (a cominciare dallo scontro fra fede e scienza) o si sostengono a vicenda senza mai pretendere il conto. La questione, allora, non è chiedersi se Il peso della grazia sia un romanzo riuscito o un coacervo disorganico che mette troppa carne al fuoco. Prima, bisognerebbe domandarsi quanto la nostra trafelata vita assomigli a quella di Giuseppe; e poi, se la forma classica del romanzo, con la sua pitagorica “normalità”, sia ancora in grado di raccontarla senza perdere un briciolo della sua cristallina o arborea eleganza.

domenica 9 dicembre 2012

Imprecisato ruscello



Comincio a chiedermi se qualcuno si è accorto che la regia di Claus Guth, molto fischiata, del Lohengrin milanese evoca non già un imprecisato "ruscello", come afferma Paolo Isotta sul Corriere della sera, ma il death by water nelle paludi dello Starnbergersee immortalate da Visconti nella sequenza finale di Ludwig; per cui il tremore di Lohengrin non sarà dovuto ad un Parkinson, come pure si è letto in questi giorni sulla stampa nazionale, semmai ad un ricercato (quantunque, fino a prova contraria, balordo: perché non risulta che il duca di Baviera volesse essere amato senza rivelare la sua origine) parallelismo con il nevrotico finanziatore del teatro di Bayreuth.