lunedì 2 giugno 2014

Pellicola postmoderna


Alcuni romanzi non si limitano a raccontare una storia: vogliono essere la radiografia di un'epoca, trasmettere un’esperienza filosofica, analizzare la società o magari l'intera umanità. E a volte vogliono essere tutte queste cose assieme: sfogliando La vita in tempo di pace di Francesco Pecoraro (Ponte alle grazie, 509 pagg., 16,80 euro), per esempio, si ha l'impressione che il numero dei temi affrontati sia potenzialmente infinito; il che non vuol dire che questo romanzo ramificato e potente non abbia una struttura riassumibile: vi si narra infatti la vicenda terrena di un ingegnere di successo, Ivo Brandani.  Nato nell'immediato dopoguerra, background filosofico, politicamente orientato a sinistra, Ivo abbandona gli studi umanistici per intraprendere una carriera fulminante in una grande azienda, negli anni del botto economico. Espulso dai piani alti dei grattacieli per non essersi prestato ai giochi perversi dell’amministratore delegato, il protagonista del romanzo di Pecoraro vive altre esperienze professionali, fra cui una particolarmente catastrofica, da quasi-burocrate, in una Roma mai nominata se non con un beffardo eufemismo, "la Città di Dio”. Una Roma fatta solo di passaggi, di cunicoli; i corridoi dei ministeri rispecchiano la struttura delle fogne che un giorno, ostruendosi, seppelliscono l’urbe di fango.
Riuscito a sopravvivere anche a questo disastro, Ivo sta per terminare la sua carriera con una missione fin troppo allusiva: deve volare in Egitto per ricostruire artificialmente il reef di Sharm, visto che siamo nel 2015 e la barriera corallina è stata spazzata via dall'inquinamento. E’ proprio in aeroplano, incastrato fra i sedili claustrofobici della classe turistica, imbottito di Tavor, che l’ingegner Brandani rievoca gli episodi salienti della sua esistenza, abbandonandosi a un delirio rapsodico nel quale restano invischiati sessant'anni di storia italiana. Le sirene dell'industrialismo, l'oppio della contestazione, la nausea verso gli anni del riflusso; e poi la rotonda sul mare, il rapporto con le donne, gli aspetti snobistici o grotteschi di una élite psicologicamente fragile, se non inerme.
Ogni “fase” ha il suo nume tutelare: Conrad per i viaggi africani, Roma senza papa di Morselli per le pagine dedicate alla capitale. I tre puntini di sospensione, marchio di fabbrica di Céline, costellano il torrenziale monologo, mentre l’homo faber di Max Frisch, a braccetto con il console Firmin di Sotto il vulcano, sorvegliano la deriva morale e lo spettacolare tracollo del protagonista. Curiosamente, però, e a dispetto della pellicola postmoderna che ricopre le pagine di Pecoraro,  la collocazione ideologica dell’autore è chiara: il suo romanzo trasuda indignazione per il dissolvimento della civiltà occidentale. Il “passato” di Brandani è il cristianesimo che trapela dal lutto per la strage di Maometto II nella basilica di Santa Sofia, bizzarra ma non avulsa ossessione che apre il romanzo; ed è l'umanesimo dei suoi trascorsi filosofici e il marxismo dell'impegno politico, ideologie diverse eppure assimilabili, perché oggi vediamo che la loro funzione era comune: respingere il nulla post-umano, bestiale o elettronico, che attendeva l’umanità e che sta inghiottendo il pianeta.
"Aveva letto di recente che in Amazzonia nei fiumi melmosi vivono pesci gatto che non vedono niente, per via del limo. Allora sentono cosa c'è nell'acqua attraverso la pelle." Scompare un approccio al mondo basato sul senso nobile della vista: anche gli uomini, sembra suggerire l’autore, presto non avranno bisogno di vedere, basterà annusare. Altro che medioevo prossimo venturo: qui si torna all'istinto. E' non è Spengler che affiora sotto l'apparente borbottio qualunquista? "Noi siamo i bianchi arrossati gialli di capelli le cui donne girano scollate e scosciate, siamo quelli che raggiungono età avanzate e non credono a niente... Siamo noi quelli che non lottano in prima persona, ma per interposta e potente organizzazione militare. Eccola la gente d'Occidente, sembrano come svuotati dalla pace. Noi, gli organismi prodotti dal Tempo di Pace, non diamo la vita per la Patria, non sacrifichiamo la nostra esistenza per una battaglia civile, per un ideale politico. Pace pace pace, per noi organismi filtratori, che non sapremo mai nulla di noi stessi, perché la pace ti fa proprio questo, non ti mette alla prova se non nella parte peggiore di te."
Viscerale nostalgia di una società “organica”, nausea per l’utilitarismo, fastidio verso una secolarizzazione che sta cancellando quella che per un paio di millenni è stata l’immagine dell’uomo: come Antonio Scurati, tradizionalista inconfessato, come i critici letterari preoccupati da una generazione che non ha subito traumi, come Walter Siti che vince lo Strega con un romanzo in cui si dice fin dal titolo che resistere non serve a niente, perché i meccanismi mondiali non danno scampo, anche Pecoraro si è ritrovato senza volerlo dall’altra parte dell’emiciclo. Nei Principia, Descartes affermò che le cose naturali, in realtà, sono tutte artificiali. Facciamogli il verso: è già da un po’ di tempo che gli scrittori italiani di sinistra, in realtà, sono tutti di destra.