giovedì 9 aprile 2015

La vita casuale


E’ beffardo, spietato e iniettato di un realismo freddo, democriteo, l’occhio che Paolo Marati getta sull’umanità nel notevole L’intrusione delle onde anomale (Barbera editore, 192 pagg., 14,50 euro). Ho detto umanità, ma resta sospesa la domanda che riguarda l’estensione del campo, il “dominio” sorvegliato dal romanzo. Non si sa se Marati parli dell’Italia, o solo di Roma, o solo di una sottoclasse di romani costituita da una borghesia abbastanza piena di sé e completamente vuota, che pur rimanendo perfettamente indifferente al richiamo della cultura manda i figli al liceo classico, e l’estate va in vacanza in Sardegna, o al Circeo, o prende un volo low cost per chissà dove. Ipotizziamo, allora, che L’intrusione delle onde anomale sia un romanzo che riguarda solo una comunità ristretta; ma, per cominciare, una comunità divisa in fasce d’età: da una parte gli adolescenti, dall’altra gli adulti. Gli adolescenti sono Giacomo e Alessandro e i loro aguzzini, i compagni di liceo dominati dal demone della crudeltà. Gli adulti, Claudia e Michele, fratelli. In comune, a parte il ceto dal quale provengono, hanno il fatto di essere tutti in trappola. La vita - la vita casuale che è capitata loro - si è richiusa come il coperchio di sarcofago. Chi è stato a consegnare questa camicia di Nesso? Gli altri, cioè, la potenza maggiore, travolgente degli altri. Ogni personaggio dell’Intrusione ha, accanto, il tipo antropologico che gli fa concorrenza, l’amico-nemico di successo. In certi casi questa figura che allude ad un’esistenza diversa dà consigli, invita alla mimèsi, spinge a fare come lui. In altri, l’invito è ipocrita, ed è fatto solo perché già si sa che non potrà essere accolto. E  a volte il modello è del tutto fuori portata. Michele viene spinto dalla sorella ad andare a donne con più facilità, e ci riesce; i terribili compagni di classe di Giacomo e Alessandro li spingono ad inviare messaggini alle ragazze come fanno loro, ma solo per ridicolizzarli meglio; la professoressa di latino Claudia Galbiati, invece, viene letteralmente distrutta dalla giovane compagna del suo amante, che forse non ha mai visto. In tutti i casi, i personaggi aspirano a una palingenesi, a una fuga da ciò che sono, e sempre in tutti i casi questa fuga viene “disturbata” dal prossimo. E non è tutto, perché c’è un'altra forma di interferenza: Marati virgoletta i sentimenti, questi bastoni da cieco con i quali cerchiamo di capire se i nostri movimenti, che devono tener conto di quella cosa che Hawthorne chiama fabric of necessity, cioè delle esigenze durissime del mondo, ci fanno bene o ci fanno male, e li mette fra parentesi. Così ottiene un grande vantaggio: perché i meccanismi dell’identificazione, nei romanzi, sono essenziali, ma sono anche il luogo in cui è massima la compromissione dell’autore, la sua “correità”. Quante volte abbiamo visto autori schermirsi e respingere le accuse di connivenza con i loro personaggi con l’affermazione che loro non sono i personaggi, che il protagonista fa cose che l’autore non farebbe mai, e così via. Bene, in Marati c’è una grande sensibilità umana, che in alcune pagine raggiunge picchi importanti: penso al momento in cui la professoressa Galbiati nel taxi guarda la coppia giovane e felice che gesticola. Penso alla crisi di nervi di Giacomo durante la festa (una festa che per lui sarà come per i cristiani entrare nell’arena del circo). In tutti questi casi, Marati preme il pedale del suo pianoforte e lascia espandere l’emozione che emana dai personaggi. Questa espansione, però, è presto bloccata da una sorta di satellite infausto che interferisce con l’oroscopo dei personaggi, conculcando la loro umanità. Si direbbe che gli esseri umani di cui scrive Marati non sono  degni dei loro sentimenti, quindi della loro umanità. Non credo che l’autore neghi il carattere emancipante e metamorfico, latamente conoscitivo ed euristico, delle emozioni. Credo, piuttosto, che Marati voglia dire che i danni sociali e psicologici subiti dai deboli per opera del gruppo, della banda dei “vincenti”, sono irreparabili, che oltre un certo limite di dolore e di esclusione non esiste emancipazione possibile. E che far sopravvivere le vittime, dopo una guerra contro la crudeltà, come esseri perfetti sia per l’appunto il massimo della mistificazione, perché equivale a far loro raggiungere il piano celeste e spietato che appartiene a coloro che hanno provato a distruggerli. Per amore di verità, ogni personaggio vedrà dunque sgonfiarsi e svanire la sua umanità in modo diverso. La liberazione dal sarcofago-vita, cioè il lieto fine e la prospettiva di una svolta esistenziale, non inganna nessuno: Michele è un uomo finalmente fuori dal marasma, ma è anche un essere malvissuto e banale; la Galbiati, che a differenza della Marescialla del Rosenkavalier (Marati è un grande appassionato di opera lirica)  non ha capito che il tempo è una cosa strana e speciale, ein sonderbar Ding, che distrugge chi non sa scendere a patti con lui, precipita nel nulla affettivo, diventa una reietta; persino Giacomo e Alessandro, che danno al lettore l'impressione di essere alla vigilia di una palingenesi, sono dei gusci, nei quali la possibilità di un’esistenza normale ha il sapore bizzarro e metallico degli automatismi involontari, e non genera nessuna felicità.


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