domenica 13 febbraio 2022

Un velo di vernice



Scrivo con colpevole ritardo del diario intellettuale e privato di Domenico Calcaterra (posso dire che è il critico letterario più simpatico? Una simpatia ben collocata fra le altre virtù, beninteso) e per scusarmi approfitto subito slealmente di una citazione da Emerson leggibile nell'Anno del bradipo. Diario di un critico di provincia  (Inschibboleth, 368 pagg., 26 euro): "The Hero is he Who Is immovably centred"; frase che si può accostare all'ormai ubiquo "Non ti disunire!" dell'ultimo film di Sorrentino. Evidentemente non sono un eroe e la dispersione che ne consegue ha un costo alto in termini di tempismo. Ma bando ai preliminari: leggendo il volume di Calcaterra ho la sensazione di attraversare un paesaggio domestico perché la "bolla" è comune: ricorrono spesso le figure di Massimo Onofri, Fabrizio Coscia, Andrea Di Consoli, Andrea Caterini e Filippo Laporta (il volume esce in una bella collana da lui curata), con le quali mi capita di interloquire viso a viso o su facebook. Sensazione raddoppiata dal plauso che Calcaterra rivolge ad alcuni autori del passato che mi sono cari (come Bonaventura Tecchi, germanista e grande affabulatore del quale un paio di anni fa ho usato l'incantevole Svevia, terra di poeti come guida nel corso di un viaggio in Germania). Stessa convergenza di opinioni per molti autori contemporanei, a cominciare da Morandini, alla cui scrittura si dà finalmente lo spazio che merita. A proposito, visto che in una pagina compare il nome del sottoscritto vorrei correggere una piccola svista, forse originata da una mia distrazione: l'uomo che Chiambretti in una trasmissione televisiva, dopo averlo sentito  rispondere alla prima domanda con un eloquio impostato e quasi teatrale, apostrofa con un "Bene, adesso può tornare a parlare con la sua voce normale" non è un poeta, ma Roberto Vacca, "il nostro amato tecnogeremia", come lo chiamava Manganelli. Aggiungo, per non dare l'impressione di unanimismo a prescindere, che a volte non sono d'accordo con le censure, ma lo sono sempre verso le approvazioni. Non solo: anche quando dissento ne condivido l'esperienza. Mi ha molto divertito vederlo stigmatizzare alcuni passi delle celebri Istruzioni per l'uso del lupo: furono esattamente alcune le pagine equivocabili come "baricchiane" a ostruire per me per anni la strada che conduce alle pagine di Emanuele Trevi, che oggi considero l'autore forse più importante di cui disponiamo (e spero che anche Calcaterra finisca per convincersene). Come tacere poi del fastidio - tollerante, ma inequivocabile - per i miti della folla? Come spiegare al barbiere che adora Camilleri che si tratta di paccottiglia, domanda spinosa sollevata nell'autoritratto foscoliano del 22 maggio? Di autoritratto c'è n'è anche un altro, ancora più orgoglioso e che spiega il titolo del volume, il 12 luglio. E c'è il comune legame con la provincia e la finestra aperta sul mondo della scuola.
L'anno del bradipo (il titolo è antifrastico: se c'è un critico che nasconde un motore sempre attivo e un'attenzione sempre vigile è proprio Calcaterra) dispiega un piacevole ritmo triadico fatto di note critiche indirizzate a scrittori, ma anche registi,  attori, altre figure pubbliche; di una prospettiva sociale, di periscopio verso un Paese che ha sempre suscitato negli intellettuali una quantità di sdegni, scandali, ire furibonde; e infine di una mitologia familiare non solo intima, ma "civile" in quanto si articola sui primi due momenti, quello letterario e quello di denuncia del malcostume. Così, per fare un esempio, la figura paterna scomparsa dell'Aviatore è presto incardinata a quella dell'autore di Staccando l'ombra da terra, Del Giudice, notoriamente appassionato di volo; dalla sorella, "la saettante e sgonnellante Basilisca", si fa partire con un espediente dialogico una catena di rimandi fra letterati: con Barnes che cita Ivy Compton Burnett intenta a rivolgersi alla compagna di una vita ormai scomparsa. Tanto per cambiare, anche Ivy Compton-Burnett è una delle mie autrici preferite. Su questo punto, sui ricordi familiari, mi sembra doveroso sottolineare la "differenza" di Calcaterra: l'autore non vuole far soffrire il lettore con i suoi lutti, l'aspetto emotivo è ben custodito e non scodellato sulla pagina. Quando Calcaterra descrive il tramonto dell'Aviatore e di Basilisca lo fa con totale sobrietà, direi con metafisica leggerezza, in modo da offrire al lettore il "fatto" del declino senza obbligarlo a pagarne il prezzo.
Naturalmente Calcaterra è in primo luogo un critico letterario e al centro de L'anno del bradipo c'è un dialogo serrato e disserrato con gli scrittori. Il ritmo del diario impone la stoccata; sono note quotidiane, non operazioni chirurgiche di sei ore, sempre ricche di intuizioni e di spunti radicati nelle copiose letture che si intravedono sullo sfondo e che il lettore specialista potrà sviluppare. Ottocentesco nell'indole un po' per posa e un po' per necessità (non è che la contemporaneità sia tanto attraente...), L'anno del bradipo è dominato dalla letteratura del Novecento. Chi avrà il piacere di percorrerlo nella sua interezza vedrà giungere nelle pagine finali l'ospite indesiderato, la pallottola pelosa del virus. La pandemia stende un velo di vernice sulle riflessioni quotidiane dando loro una strana compiutezza; forse perché L'anno del bradipo è un diario oggettivo, in dialogo non solo con la letteratura, ma con il mondo, ed essere costretti a fare jogging in casa per colpa del Covid 19 non è proprio il massimo dell'estroversione.

Nessun commento:

Posta un commento