lunedì 26 aprile 2021

Non mancano i campi


Vi si cita un sestriere e non mancano i campi, quindi sarà Venezia la Lopezia nella quale Ezio Sinigaglia ha ambientato L’imitazion del vero (Terrarossa edizioni, 101 pagg., 14 euro), una novella che a prima vista sembra uscita dal Decamerone. L’opera più nota dell’autore, Il pantarèi, è uscita una prima volta nel 1985 ma poi, diventata un libro di culto per avveduti ed esigenti lettori, ha avuto tempo fa una meritatissima seconda edizione. Stavolta siamo in un secolo fiabesco che evoca, oltre a Boccaccio, gli intrecci tipici del melodramma barocco. Al centro della vicenda c’è Mastro Landone, che definire falegname proprio non si può: egli è l’artefice più richiesto a corte, dove regna il principe Tancredi IV. Gigantesco, biondissimo, desiderato da tutte le donne di Lopezia, Mastro Landone vive non del meccanicismo raggelante di Descartes o di Galileo, ma di quello giocoso  e superfluo degli ingegneri alessandrini: sedie che premendo una leva si trasformano in tavoli, ordigni di ogni tipo che si muovono da soli, attrezzi che a comando fumigano come vulcani. Sarebbe felice, Mastro Landone, se non avesse gusti sessuali severamente censurati, puniti con il taglio delle orecchie e la gogna pubblica; spauracchio che diventa minaccia concreta il giorno in cui un nuovo, irresistibile garzone bussa alla porta della bottega. Come mettere a questo punto il diavolo in inferno, beffare la legge omofoba e lasciare che la natura segua il suo corso? Mastro Landone rimuove alcune assi dell’impiantito, sega in due una botte, ne inchioda la metà superiore al pavimento e poi ne riveste il bordo interno con alcuni fuscelli, in modo che chiunque vi entri non veda quel che accade dalla cintola in giù. E’ la “botte di Paradiso”, un’audace soft machine nonché eloquente allegoria di quel che accade quando lo Stato si mette di traverso sulla strada della coscienza: non ne viene fuori, come minimo, un uomo tagliato in due? Va da sé che il garzone salterà nella botte appena possibile, traendone un godimento parente del sesso virtuale e del sex appeal dell’inorganico, come avrebbe detto il filosofo Mario Perniola. Sinigaglia ha scritto un delizioso pastiche che grazie a una trama malandrina, una psicologia convincente e uno stile amabilmente desueto riconcilia con la letteratura. E il titolo della novella deve far riflettere: siamo nel campo della glorificazione dei simulacri, senza la quale, si dice in giro, non c’è libertà.

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