mercoledì 4 gennaio 2012

Chissà forse vincente




L'unità, martedì 3 gennaio 2012.


Far fuori la gallina... La missione impossibile di Ottaviani.
di Angelo Guglielmi

Con La gallina, Ottaviani ingaggia una sfida disperata. Chissà, forse vincente. Introduce di soppiatto in un ménage apparentemente tranquillo (in un appartamento alto borghese, dove marito e moglie vivono con maggiordomo e cameriera) una battagliera gallina che si aggira impertinente per la casa, sporcando e distruggendo tutto ciò che sfiora.
Il maggiordomo, rispettoso e pavido, non trova la decisione (forse non ha il coraggio) di afferrare il volatile e tantomeno di ucciderlo, tanto che al ritorno della padrona, che ha molta considerazione di lui, giustifica la presenza della gallina difendendosi con una scusa qualunque, promettendo di risolvere al più presto l'inconveniente. Passano i giorni e la gallina continua a imperversare e fare danni per l'appartamento. Tra i danneggiamenti non c'è solo il prezioso vaso cinese che la gallina, nei suoi movimenti incontrollati, ha fatto cadere, o i tappeti e i divani che ha insozzato con i suoi escrementi, ma più ancora i rapporti tra la padrona e il padrone, già silenziosamente compromessi e ora scopertamente messi in mostra.
Tra il marito (che non sopporta il maggiordomo e gli preferisce la cameriera), la moglie (che odia la cameriera), il maggiordomo e la cameriera (nemici l'uno all'altro) esplode una rissa non solo psicologica che ha per oggetto l'urgenza di liberarsi della gallina; nonché l'ordine perentorio al maggiordomo, e in seconda istanza alla cameriera, di portare in porto l'impresa.
Ordine inutile, che continuando ad essere inevaso trasporta lo smarrimento e la tensione, intanto pericolosamente ingigantitesi, fuori, tra gli amici e colleghi di lavoro dei due coniugi, diventando un saporito pettegolezzo pubblico fino al punto di risolversi con la degradazione della moglie (che perde la responsabilità della società di cui è amministratore delegato) e il licenziamento del marito che, stupefatto per il provvedimento patito, attraversando la strada viene investito da una macchina e muore.
Dunque Ottaviani sceglie lo strumento del grottesco, rinforzato da punte di noir, per operare quella distruzione o meglio smontaggio della realtà che oggi (e non da oggi) non si riflette più nella sua apparenza. E' un'operazione cui ricorrono gli scrittori dai tempi di Mallarmé o forse di Baudelaire, che per primi hanno avvertito l'impossibilità di cogliere il reale attraverso la rappresentazione (come fino ad allora era accaduto) e la necessità di rompere gli schemi logici che tengono in prigione le cose, e di disarticolarle dissotterrandone il senso. Operazione inevitabilmente rischiosa, esposta a facili fallimenti e velleitarismi irrisolti, ma quasi obbligatoria per lo scrittore che voglia porre domande al mondo pur sapendo di non poterne ricevere risposte. Porre domande significa attivare un circuito vitale e fomentare energie che coinvolgono, insieme all'autore, il lettore.
Ottaviani affronta la salita dalla parte più ripida percorrendola come fosse una discesa, mettendo il lettore sempre in sospetto sulla riuscita finché, grazie all'aiuto di un linguaggio ficcante e scivoloso, sembra conquistare la vetta. Riuscirà a impiantarvi la bandiera?

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